“Touching from a distance”: i ritratti underground di Anton Corbijn in mostra ad Amsterdam

 

Tom Waits, @Anton Corbijn

Tranquillità della bellezza formale. Il bianco e nero è onnipresente, i soggetti si scagliano contro la definizione modaiola senza però incanalarsi nell’ottica semplicistica bohemien. Da colui, Richard Avedon, che affermava che la fotografia anche la più perfetta è comunque sempre una bugia, famoso per aver scattato i ritratti di Marilyn Monroe, Brigitte Bardot o Sophia Loren durante la prima metà del secolo scorso, di tempo ne è passato, arrivando al fotografo e regista olandese Anton Corbijn.

Anton Corbijn, Gerhard Richter, Keulen 201, @Anton Corbijn

Nel 1979 quando in Inghilterra imperava da una parte il genio maledetto di Ian Curtis dei Joy Division, e dall’altra l’eleganza inquietante del duca bianco David Bowie, Anton Corbijn riesce a descrivere fotograficamente i nuovi canoni del ritratto non stereotipato della celebrità artistica. Dal 24 giugno al 1 settembre il FOAM di Amsterdam dedica al fotografo un’ampia mostra con i suoi più recenti lavori su Gerhard Richter, Alexander McQueen, Richard Prince, Iggy Pop, Anselm Kiefer, Damien Hirst, Tom Waits, Peter Doig, Bruce Springsteen, Lucian Freud e Karel Appel: Anton Corbijn – inwards and onwards.

Anton Corbijn, Alexander McQueen, London 2007, @Anton Corbijn

“Verso l’interno e oltre”, ma da cosa? Dal “controllo”, potremmo dire: “She lost control”, il titolo del famoso successo dei Joy Division del 1978, definisce semplicemente il lavoro fotografico di Corbijn, regista tra l’altro del film Control (2007) dedicato alla figura di Ian Curtis, vincitore nel 2007 del Young Eyes Prize di Cannes e del British Independent Film Awards come miglior film e miglior regista. Ebbene, i ritratti di Corbijn non perdono mai il loro equilibrio: nella forma sono bilanciati magistralmente, e nel contenuto l’imperfezione dei suoi soggetti risulta nietzchianamente perfetta.

 

Anton Corbijn, PJ Harvey, 1994, @Anton Corbijn

E’ perfetta PJ Harvey come è altrettanto perfetta Kate Moss: soggetti come Ian Curtis che, nell’alone della loro esistenza “fuori controllo” ritrovano nell’immagine del fotografo quell’equilibrio che è la loro essenza più profonda. Iterazione perfetta tra soggetto, immagine e fotografo. Il b/n dai forti contrasti e il grande formato permette tale rigidità del controllo formale. La purezza dell’immagine fa eco ai grandi maestri del ritratto come Richard Avedon e soprattutto Irving Penn che si fece baluardo dello stile classico presentando la figura da ritrarre in forte contrasto con lo sfondo, luogo dove il soggetto da riprendere era spesso posto davanti a due fondali disposti ad angolo.

Irving Penn, Stravinsky, 1948

Corbijn fa l’occhiolino a Irving Penn, al suo Stravinsky del 1948, lo ripropone “in chiave rock”, ovvero Tom Waits. Gli equilibri sono gli stessi ma c’è un passaggio di significato: i ritratti di Corbijn raccontano si storie ma sono storie silenziose, hanno la potenza del significato del silezio. “Listen to the silence, let it ring on / Eyes, dark grey lenses frightened of the sun”, ascoltiamo in “Transmission” (Joy Division, 1979), e così la stessa immagine l’ascoltiamo nell’immagine di Tom Waits, di Dave Gahan, Leonard Cohen e gli U2. Infine, opera per sottrazione di significato: lo sgurdo si sintetizza nello spazio fotografato raggiungendo l’essenza intima del soggetto.

Anton Corbijn, Tom Waits, @Anton Corbijn

Allora risulta centrale quello che lo stesso fotografo affermò “A causa della mia educazione calvinista, sono stato istruito a pensare che quello che si fa deve avere uno scopo. Scatto delle foto che se servissero solo a soddisfare un editoriale significherebbe che non hanno alcun valore al di là di quello. Ho sempre pensato che stavo facendo qualcosa che aveva una ragione di esistere. Altrimenti sarebbe uno spreco di energia”.

 

 

Anton Corbijn, Anthony Kiedis, West Palm Beach, 2003, @Anton Corbijn

Dalla fotografia al cinema di “The American” (2010), dalla musica underground all’esposizione nei grandi musei come il Deichtorhallen di Amburgo, il Photographic Research Center di Boston e il Kunstmuseum di Vienna; dai video dei Depeche Mode al film sugli U2, “Linear” (2009), dai Roxette ai Coldplay, fino al film più breve del mondo “Smallest Shortest Film”, cortometraggio del 2010 per le Poste olandesi, composto da 30 fotogrammi, 28 secondi di titoli di testa, un secondo di video e 8 secondi di titoli di coda, Anton Corbijn mette sempre e comunque la sua firma, sempre da una certa distanza, quella silenziosamente creativa.




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  1. Kim

    My favorite is brainstorming…..I love that Anton does such creative work with interesting people in black and white…and actually I just love Anton……


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