“Gli irripetibili anni ’60”. In mostra “l’autostrada dell’arte” tra Roma e Milano

 

Piero Manzoni, Achrome, 1958

L’era dell’hula hoop era arrivata al capolinea. Mentre Bob Dylan in America cantava “Blowing in the Wild”, Gino Paoli scalava le classifiche con “Il cielo in una stanza”, si ballava a ritmo di “jeghe je”, e nel frattempo cominciava ad andare la minigonna di Mary Quant.

Mimmo Rotella, Aranciata, 1966

Conflitti e rivoluzioni: le donne cominciavano a scendere in piazza come Rita O’Grady che guidò nel 1968 a Ford Dagenham lo sciopero di 187 operaie alle macchine da cucire, il che pose le basi per la Legge sulla Parità di Retribuzione, mentre gli uomini partivano per il Vietnam. Le arti produssero ogni nuova forma di sperimentazione ed il mondo si popolò di nuove entità che riuscirono a segnare l’intero secolo: gli artisti pop e i poeti beat.

Emilio Tadini, La camera afona, 1969

Sono Gli irripetibili anni ’60, titolo riprese dalle stesse parole di Gillo Dorfles, mostra che dal 10 maggio al 31 luglio 2011 sarà presente a Roma nelle sale del Museo Fondazione Roma, Palazzo Cipolla a cura di Luca Massimo Barbero. Per sottolineare il dialogo tra le due città, Roma e Milano, tra la fine degli anni Cinquanta e la metà degli anni Settanta, la mostra si sposterà proprio a Milano dal 7 settembre al 20 novembre 2011, negli spazi espositivi di Palazzo Reale.

Allen Jones, First Step, 1966

Oltre 170 opere che sottolineano come la letteratura, il teatro, il giornalismo, la fotografia, la cronaca, il design e la moda fossero in quel periodo un ibrido ancora da costruire ed identificare. Si accende il dialogo fra le due città italiane e se Milano è il cardine dell’Avanguardia Internazionale, Roma lo è di quella nazionale. Un ruolo rilevante lo fanno le gallerie che, lontane ancora dall’ottica totale del commercio, sono centri di propulsione creativa come a Roma “L’Obelisco” di Irene Brin e Gaspero del Corso, “La Tartaruga” di Plinio De Martiis, “La Salita” di Gian Tommaso Liverani, “L’Attico” di Bruno e poi Fabio Sargentini e a Milano la “Galleria Apollinaire” di Guido Le Noci, la “Galleria Blu” di Peppino Palazzoli, e soprattutto l’attività dello “Studio Marconi”.

Lucio Fontana e Hisachika Takahashi, Concetto Spaziale - Attese, 1966

La Milano degli anni Sessanta è quella di Luchino Visconti rappresentata in “Rocco e i suoi fratelli” (1960) dove l’aria pesante della metropoli si interseca con la ritrovata libertà dopo il 1945. Lucio Fontana, in un’immagine emersa dagli archivi fotografici, appena tornato dall’Argentina, con l’amico Fausto Melotti, viene immortalato mentre cammina tra le mura devastate del suo vecchio studio milanese. E’ l’immagine emblema di una Milano che deve per necessità rinascere dalla distruzione della II Guerra Mondiale, più scientificamente selettiva e nevrotica della capitale romana ma più pronta per gettare un nuovo inizio, per fare tabula rasa, come i prmi “Achrome” di Manzoni del 1957, per trovare un nuovo spazio come la smaterializzazione dell’oggetto artistico che aleggiava a livello internazionale.

Piero Manzoni, Merda d'artista, 1961

Tra la swinging London e l’Esistenzialismo francese, Si apre la lotta al novecentismo dell’Informale, verso il monocromo e il concettuale
Lucio Fontana nel 1958 realizza i suoi primi “Tagli”, sguardi verso “un atto di fede nell’infinito” (Lucio Fontana), come le opere del 1961 come “Il cielo a Venezia” o il Concetto Spaziale “Laguna di Venezia”. La superficie quadrata di questi dipinti e’ interamente argentea, come un riflesso lunare attraversato soltanto da vetri azzurri e blu o cerchi simbolici della luce notturna riflessa sull’acqua. La mostra si apre con un grande Concetto Spaziale, la simbolica e lunare costellazione variegata che apre gli anni Sessanta.

Mario Schifano, Tuttestelle, 1967

Fontana lega Milano anche a livello internazionale, è il primo che compra un’opera di Yves Klein in occasione della sua prima mostra alla “Galleria dell’Ariete” nel 1957. Altro protagonista internazionale e nazionale è Manzoni che ha legami strettissimi con il “Gruppo Zero” di Dusseldorf e la Danimarca ma allo stesso tempo si costituisce attorno a lui la rivista “Azimuth” e la “galleria Azimut”. Parallelamente a Roma accanto al Nouveau Réalisme e l’emergente cultura pop, si indaga sulla dissacrazione delle icone e dei materiali della tradizione con Mario Schifano, che per Marconi è il più talentuoso degli artisti del periodo perchè “cronista delle cose”, Franco Angeli, Tano Festa.

Man Ray, Venus restaurée, 1936-1971

Come in “Morire gratis” di Sandro Franchina (1968) dove Franco Angeli, nella vita come nel film artista romano di piazza del Popolo, in viaggio on the road da Roma a Parigi in compagnia della sua ultima creazione artistica, una lupa capitolina, il dialogo internazionale si fa sempre più serrato. Marcel Duchamp e Man Ray ribaltano l’idea di oggetto artistico come quella che nel 1962 viene definita da Umberto Eco “arte programmata” del Gruppo T. Si riassumono gli ultimi anni con le immagini verbovisuali della Volkswagen di Isgrò, la prima “verifica” di Mulas, l’ Italia in pelliccia di Fabro, i generali di Baj, La camera afona di Tadini. Gli irripetibili anni Sessanta: Andy Warhol sopravvisse alle pugnalate di Valerie Solinas Ernest Hemingway si sparò e non sopravvisse , dopotutto “le arti non sono che una delle manifestazioni dell’intelligenza” (Lucio Fontana).

 

Emilio Isgro, Volkswagen, 1964

 

 





There are no comments

Add yours