Nativi digitali: relazioni appese al filo della banda larga o nuovi traguardi della comunicazione? Analisi della generazione da social network

 

Se vanità ed egocentrismo sono presenti in ogni settore della nostra vita reale, con Facebook oggi stiamo assistendo ad un cambiamento repentino delle scelte individuali. Si preferisce fare quattro chiacchiere sul web dopo una giornata faticosa che ti taglia le gambe e non ti consente di fare la classica vita sociale. E non c’è niente di male nel ricercare un vecchio compagno delle elementari sulla rete, nel mantenere i contatti con un’amica conosciuta in Erasmus  o con una parte della famiglia emigrata in Venezuela. Partecipare una propria emozione o condividere con gli altri una canzone, un momento di gioia immortalato con una digitale non sono azioni da condannare, da mettere alla gogna.  Rimanere in contatto non è un reato, né un peccato mortale. Se il progresso rende tutto ciò più facile ciò non significa necessariamente che sia meno profondo.

Ma le cose , purtroppo, non stanno proprio così.

 

Ne “L’avvocato del diavolo”, Al Pacino afferma: “vanità: decisamente il mio peccato preferito”. Seguendo “Lucifero” e cavalcando l’onda della polemica più spietata si potrebbe giungere alla conclusione che i paladini dell’epoca dominata dal Super-ego siano dei millantatori di (falsa) modestia alle prese con blog e autoscatto. Una generazione colpita dal germe della condivisione multimediale a tutti i costi. Parole come “intimità” o espressioni come “strettamente personale” e “riservato” sembrano ormai obsolete nell’era web 2.0 dove voyeur ed esibizionisti hanno trovato pane per i loro denti.

Purtroppo  non vale più il motto “se non vedo non credo” bensì “se non mi vedo(no) non esisto”.  È come se il valore intrinseco delle cose, delle persone e delle situazioni riposasse nelle prove che si possono fornire agli altri, fotografiche o digitate su un social network.  Più tempo per gli scatti, meno per le chiacchiere. Forse il grande fratello ha smesso di guardarci e basta; magari adesso ci giudica e misura le nostre performance basandosi su un indice di gradimento. Oggettivare noi stessi attraverso il lavoro, ciò che facciamo è sacrosanto, ma  probabilmente c’è una linea non troppo sottile che separa il bisogno di approvazione dall’autocelebrazione compulsiva o dalle iniezioni di autostima cibernetica. La ricerca dell’approvazione, del consenso pubblico rende sereni, ma se i “mi piace” non giungono, che delusione ! Verrebbe da pensare che la diffusione di questi diari virtuali si debba principalmente ad un’insicurezza cronica che attanaglia gli animi dei giovanissimi e non. Da piccoli non volevamo essere esclusi dal gruppetto di compagni di scuola, adesso non vogliamo passare inosservati nel mondo della community.

Abbattere le barriere dello spazio e del tempo è stata una grande conquista, ma la rivoluzione di internet ha generato degli effetti collaterali. A fronte di una diminuzione dei costi e una maggiore facilità di comunicazione, guizza alla ribalta una  disaffezione nei confronti della lettera c – magicamente tramutata in k -, dalla consecutio temporum, della perdita della capacità di formulazione di pensieri propri a favore di condivisione di frasi altrui , meglio se celebri, e perdita dei rapporti interpersonali vis-a-vis.

 

Ma non solo. Esiste un rischio “tempo” che viene sprecato sui social network alla ricerca dell’audience mentre le ore trascorrono in una sorta di assuefazione da realtà virtuale. E se le relazioni si trasferiscono dalla vita reale anche a  Facebook una volta dovessero terminare diventa impossibile riappropriarsi della propria privacy. Non basta cambiare abitudini, o frequentare luoghi o persone diverse, sul libro delle facce ci sono sempre gli amici degli amici pronti a “taggarti” in tempo reale con gli smartphone e far sapere a tutti dove ti trovavi.

Curiosa è la doppia valenza della parola rete: per il popolo di Facebook simboleggia libertà d’espressione, ma è stata sempre usata per indicare anche costrizione, cattura, impossibilità di movimento. Interattività e partecipazione potrebbero celare nuovi e subdoli specchietti per le allodole. Questo è un  pericolo molto più alto per gli adolescenti che frequentano i social network. Non è solo un problema di valore culturale o di tendenza, ma un rischio concreto che tocca la baby-prostituzione, l’adescamento o le sindromi maniaco-depressive.

 

Senza falsi moralismi si muove Anna Utopia Giordano, artista, poetessa, attrice e modella, che in My social generation ha cercato di mettere a fuoco obiettivamente uno spaccato generazionale, calandosi nei panni della tredicenne Amy Little Princess e immortalandosi in un turbine di autoscatti tutti rosa, incorniciato da frasi come: “Sono xf3tt4 n3ll4 m14 1mp3rf3z10n3”, tra kokkole e malizia.

Un lavoro dai risvolti psicologici e sociali, semplice nell’ideazione e nella presentazione, e che proprio per questo si presta ad aprire diversi scenari, senza assolutismi o ironie, ma invitando a riflettere responsabilmente sulle conseguenze di questi shooting casalinghi, nati apparentemente per gioco dietro il cartello “Do not disturb” appeso alla porta della cameretta.

 

“Fragilità ed esibizionismo: due facce della stessa medaglia”, dice la Giordano. “Chi ha bisogno di mostrare se stesso in maniera estrema e ossessiva nasconde spesso una grande fragilità, ha bisogno di conferme e apprezzamenti costanti per evitare di confrontarsi con le proprie paure. Indubbiamente gli adolescenti hanno una personalità variabile, in via di sviluppo, e i modelli imposti dai mass-media li scagliano in un inferno di timori e ansie. Causa ancor maggiore è la mancanza di una educazione emotiva da parte dei genitori. Lo stesso discorso si può fare per la seduzione compulsiva: la necessità di “mangiare” amore è sintomo di un grande vuoto dentro di sé. Gli adolescenti attraversano una fase delicata in cui il loro corpo si sviluppa e cambia (in particolar modo nelle donne), imparare a conoscerlo giocandoci è positivo (e qui subentra quella innocenza giovanile che ti fa stare ore di fronte allo specchio a truccarti con gli ombretti della mamma) ma, nella società in cui viviamo, il rischio di degenerare o di fraintendere  è alto. Io credo che nei social network ci sia una catastrofe silenziosa in atto: quanto vali, per adolescenti e non, è misurato a seconda degli “i like” che ricevi.

Piccola nota positiva, sta facendosi strada un crescente senso di disagio verso l’uso e l’abuso del social network ed è crescente il tasso di abbandono (addirittura di cancellazione o non sottoscrizione) dai Social Network. Una piccola controtendenza che riporta valore dentro di se e non più se stessi dentro Facebook.  Doveroso incentivarla.




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