Nam June Paik: la TV è “messa in scena” a Roma

Ricordate Marshall McLuhan e il suo celebre assioma “il medium è il messaggio”? Rinfrescatevi la memoria, perché mai predizione fu più azzeccata. Quanto è cambiata la nostra vita dopo l’avvento dei nuovi media ce lo dimostrano oggi i social network. Anche Papa Benedetto XVI ha preso atto della loro capacità comunicativa, ma anche condizionante e fuorviante, consigliando di farne un buon uso.

Nam June Paik, Exposition of music – electronic television, Kuba TV, 1963

Ma cosa possiamo fare con la tecnologia? Erano i primi anni Sessanta quando, nel tentativo di darvi una risposta, Nam June Paik mosse i primi passi verso ciò che definiamo Video Arte. Oggi, all’artista coreano, figura chiave del movimento Fluxus e dell’arte contemporanea, l’Auditorium di Roma, dal 28 gennaio al 13 marzo 2011, dedica la quarta mostra della Fluxus Biennal, a cura di Achille Bonito Oliva, presentando al pubblico alcune delle sue più significative videoinstallazioni.

Nam June Paik, Cage in Cage, 1989

Uno dei momenti più importanti della cultura del nostro secolo è stato, indubbiamente, lo sviluppo della televisione e altrettanto indiscutibile sono i limiti e i pericoli insiti del mezzo; la forza della sua influenza sulla formazione delle coscienze e della cultura di massa. Nam June Paik è stato uno dei primi artisti a riconoscere l’enorme potenzialità dei media elettronici, ma invece di esserne fagocitato scelse di ampliarli e dilatarli nelle direzioni più straordinarie e inimmaginabili. E l’improvvisazione negli anni Sessanta era un evento fluxus. Insieme agli amici e i colleghi di allora, John Cage, Joseph Beuys, Wolf Vostell, la violoncellista Charlotte Moorman, fra gli altri, l’artista coreano diede vita a una “nuova conoscenza” che implicava liberazione, interazione, coinvolgimento.

Nam June Paik, (Charlotte Moorman), TV-Cello, 1971

Da esperto musicista, nei suoi lavori cominciò a introdurre la discontinuità, il ritmo, il “tempo”, producendo ciò che Achille Bonito Oliva ha definito “sospetti di opere”, dove molto è demandato alla sensibilità dello spettatore. Nello scorrere leggero e fugace dell’evento fluxus le sue opere cominciarono a fondere immagini, televisioni, strumenti musicali, oggetti vari, come Cage in Cage, tributo all’amico musicista John, in mostra all’Auditorium. Schermo e cornice la gabbia cattura il flusso delle immagini di un apparecchio televisivo: la mobilità come comunicazione, come forma di vita e come processo artistico è così diversa dalla fissità di un solo linguaggio. Tutto è fluxus. E Fluxus intendeva dare all’arte un rapporto con la vita.

Nam June Paik, Buddha, videoscultura, 1989

Così, in un continuo dialogo fra Occidente e Oriente (Buddha), alle immagini omologanti e accerchianti del mezzo televisivo Nam June Paik sostituisce una tecnologia umanizzata; una tecnologia comunicativa. “Non domandarti cosa la tecnologia fa con te, affermò Kennedy, ma quello che tu puoi fare con la tecnologia”: senza ombra di dubbio Nam è riuscito a farne un buon uso.




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