La serigrafia è un’arte? Da Andy Warhol alla fotografia digitale, un racconto “contemporaneo” in mostra a Berlino

Christiane Baumgartner Amsterdam, 2005 Holzschnitt; © VG Bild-Kunst, Bonn 2011, Foto: Christiane Baumgartner

Ci si chiede ancora oggi se la fotografia sia o meno arte, se possa essere collocata tra le Muse o rimanere tra le quinte teatrali dello spettacolo immaginario definito “arte contemporanea”. Tanto più accade per quella tecnica artistica definita “serigrafia” ovveroil termine che deriva dal latino “seri” (seta) e dal greco “grapho” (scrivere), proprio perchè questa tecnica si basa sulla stampa di immagini su qualsiasi supporto o superficie mediante l’uso di un tessuto, in antichità la seta, facendo depositare dell’inchiostro su un supporto attraverso le aree libere del suddetto tessuto.

Andy Warhol, Marilyn, 1967 © The Andy Warhol Foundation for the Visual Art, New York. Foto: © bpk / Kupferstichkabinett, Staatliche Museen zu Berlin / Erich Andres

Il re di tutto ciò fu negli anni Sessanta Andy Warhol che traferisce le imamgine del consumo di massa in altrettante opere dal consumo di massa come la serigrafia che per l’appunto può far si che un’opera d’arte sia riprodotta all’infinito. Neue Realitäten. FotoGrafik von Warhol bis Havekost questo è il titolo della mostra dedicata all’opera d’arte contemporanea legata al processo di serialità, che si terrà dal 10 giugno al 9 novembre 2011 negli spazi del Kulturforum a Potsdamer Platz, una delle più famose piazze berlinesi.

Gerhard Richter, Ohne Titel (Kerze), 1982/1989 © Gerhard Richter. Foto: © bpk / Kupferstickabinett, Staatliche Museen zu Berlin / Jochen Littkemann

Perchè questa mostra? Le 120 opere prodotte da 40 artisti differenti “servono” innanzitutto per dare leggittimità ad un processo come quello della stampa seriale e poi soprattutto perchè proprio dall’America la tecnica serigrafica è giunta fino all’Europa, in particolare in Germania, subendo sfaccettature e declinazioni notevoli. Dalla famosa Marilyn arriviamo ad opere di artisti come Gerhard Richter, Sigmar Polke che fanno parte di quello che può essere definito il “Realismo Capitalista”, che attraverso un procedimento banale come la litografia offset creano immagini che fanno il giro del mondo come la famosa opera “Queen Elizabeth II” di Gerhard Richter che sarà esposta in var musei del Regno Unito in occasione del Giubileo di Diamante della Regina d’Inghilterra.

Eberhard Havekost RAUM, 2008 © Eberhard Havekost + Galerie Gebr. Lehmann. Foto: © bpk / Kupferstichkabinett, Staatliche Museen zu Berlin / Volker-H. Schneider

Si arriva così a Eberhard Havekost, l’artista di Dresda che porta il lavoro intellettuale, se vogliamo, e tecnico della pop art, in chiave strettamente postmoderna. Le sue immagini a ripetizione che trae dalle riprese della TV o da semplici video, dalle immagini tratte da riviste e cataloghi o da fotografie che lui stesso scatta per produrre stampe inkjet che sono per l’appunto la base su cui lavora per i suoi dipinti,creano effetti visivi in cui il reale viene rielaborato grazie al computer.

Franz Gertsch Schwarzwasser I, 1990-1991 Holzschnitt; © Franz Gertsch. Foto: © bpk / Kupferstichkabinett, Staatliche Museen zu Berlin / Volker-H. Schneider

Parlando di Eberhard Havekost possiamo dire che tecnicamente ci sono due gruppi d’artisti ben distinti che utilizzano le tecniche di rielaborazione seriale dell’immagine. Se infatti per quanto riguarda la litografia, la stampa offset o la serigrafia in generale il processo di produzione dell’immagine è foto meccanico come per Franz Gertsch o Christiane Baumgartner, dagli anni Novanta con l’avvento del digitale portano la manipolazione di fotografie a livelli sempre più sofisticati come nelle immagini esposte di Martin Borowski e Kai Schiemenz. Da un punto di vista del significato l’elaborazione dell’immagine come nei lavori di Al Taylor, Tacita Dean, Olafur Eliasson e Christian Boltanski.

Robert Rauschenberg, 1972, Foto: © bpk / Kupferstichkabinett, Staatliche Museen zu Berlin / Volker-H. Schneider

Quest’ultimo è presente come rappresentante della Francia alla Biennale d’arte di Venezia 2011, porta ad un’amplificazione dello stesso significato semiologico dell’opera d’arte come per l’appunto in Gymnasium Chases, opera del 1991 costituita da 23 fotoincisioni che creano assieme un imponente monumento all’Olocausto. Le nuove visioni presenti in mostra mostreranno anche l’utilizzo della fotografia in connessione al collage o alle tecniche di assemblaggio artistico di Robert Rauschenberg e Falko Behrendt così da trascrivere un excursus storico e tecnico su un filone dell’arte contemporanea che ha decisamente rotto il famoso velo di Maya.

 




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